Antonio Tacchino – Negli alberi vetusti si può trovare il Buddhismo?

La senescenza o vetustà è vista dall’uomo come un lento declino delle proprie capacità fisiche e mentali. Gli alberi invece, quando invecchiano acquisiscono un valore ecologico importantissimo per la biodiversità. Un numero elevatissimo di organismi quali vertebrati, insetti, muschi, licheni, funghi sono vincolati, per la loro sopravvivenza all’invecchiamento degli alberi. Paradossalmente più un albero invecchia, più aumenta il suo ruolo chiave nell’ecosistema forestale.
In una annosa quercia o salice possono sopravvivere alcune centinaia di specie di coleotteri. Decine di mammiferi e uccelli vi trovano rifugio e nutrimento. Le grandi foreste boreali hanno bisogno del legno morto per rigenerarsi; molte specie animali hanno necessità di grandi alberi morti in piedi per compiere il loro ciclo biologico; il suolo si nutre della marcescenza degli alberi per mantenersi fertile. Il lento invecchiamento e decomposizione degli alberi sono il motore che regola la vita di una foresta. Man mano che trascorrono i decenni e i secoli l’albero acquista forme sempre più particolari. Non necessariamente alberi annosi sono sinonimo di straordinaria maestosità, più spesso si tratta di esseri gravemente deperenti, contorti, quasi tormentati da impressionanti fenomeni di caos e disfacimento, spesso squarciati e solcati da ampie cavità e schianti ove la vita e la morte corrono insieme, lentamente, ma inesorabilmente. Quando si ammala o viene colpito da un parassita l’albero non spende energie per curarsi, non rigenera nuove cellule per sostituire quelle ammalate, ma isola la parte indebolita, crea attorno una barriera di protezione. La porzione sana continua a crescere avvolgendo quella malata, divenendo tra loro quasi indistinguibili.
Non vi è dualismo: è come se la malattia venisse semplicemente osservata, l’evento viene lasciato scorrere. L’albero non oppone resistenza.
Chi entra in una foresta vetusta percepisce il significato del silenzio. Non si è oppressi dalla sofferenza della solitudine, perché quest’ultima non si presenta come “isolamento” da qualcosa o da qualcuno ma diviene valore da perseguire, da ricercare come espressione profonda della propria esistenza. In una foresta primigenia non regna l’ordine ma il caos ed da esso sgorga l’essenzialità: qui non vi è posto per nessun evento banale!
Sembra paradossale ma gli alberi raggiungono età considerevoli in contesti difficili e ostili: creste ventose e rocciose, quote elevate, ove il nutrimento è scarso e tutto è rallentato.E’ un messaggio esplicito: per vivere abbiamo bisogno di poco. Chi si nutre con avidità e ingordigia è destinato a perire molto prima. La vita autentica si nutre di Essenzialità.
Il portamento a volte maestoso e monumentale muta in sostanza infinitamente decomposta rientrando in circolo nel terreno e trasformandosi in nuovi esseri viventi.E’ un lungo e lento processo di trasformazione.Una quercia secolare può vivere anche per novecento anni e per decomporsi completamente possono essere necessari anche novanta – cento anni. In questo lunghissimo tempo tutto si trasforma: non vi è un inizio ne una fine.
Se anche l’uomo avesse consapevolezza che la vita e la morte sono semplicemente processi di trasformazione, se noi tutti non fossimo così incatenati alla presunzione che la nostra esistenza è indissolubilmente legata all’aspetto corporale, allora potremmo comprendere appieno il valore dell’Immortalità, quella autentica, quella che la Natura ci offre come dono.

Antonio Tacchino