a cura di Gianpaolo Fiorentini
L’ESEGESI
I testi fondanti di ogni cultura hanno sempre appassionato l’umanità per la ricchezza dei piani di lettura che offrono. La ricerca di questi piani prende il nome di esegesi, letteralmente ‘portare fuori [il senso nascosto]’.
È un sentimento antico. Già nel VI secolo a.C. Teatene di Reggio cercava il significato nascosto (hyponoia) nei poemi omerici, in contrapposizione a quello che di lì a poco sarebbe stato l’evemerismo, ovvero la lettura dei miti in termini di soli fenomeni naturali. Nel I secolo d.C. Plutarco si interrogava sul significato nascosto degli antichi miti in due opere di grande fascino interpretativo, Iside e Osiride e Sulla E di Delfi.
Nella cultura ebraica l’esegesi riguarda ovviamente i libri della Bibbia. Ne abbiamo i primi esempi nella scuola degli Esseni e in altre esegesi letterali, edificanti e normative che confluirono nel Talmud, opera con una lunga storia interpretativa che va dagli ultimi secoli prima di Cristo al VI secolo della nostra era e che si fonda appunto sulla midra’sh, ‘spiegazione, interpretazione’ al di là di peshat, l’immediatamente ovvio, l’evidente.
L’esegesi biblica cristiana produsse abbastanza presto due scuole: la scuola di Alessandria, di stampo allegorico neo-platonico e la scuola di Antiochia e Cesarea, al contrario di impostazione storico-letterale. Il principale rappresentante della scuola alessandrina fu Origene, che teorizza tre significati delle scritture: letterale, morale e spirituale, corrispondenti alla carne, all’anima e allo spirito del testo sacro. L’ultimo, il senso spirituale, spiegherebbe i ‘misteri’ profondi nascosti nel testo e che occorre portare alla luce.
Dalla contrapposizione tra queste due scuole si formò il vocabolario sui ‘sensi’ delle
scritture: letterale, allegorico (o figurato), esplicito, implicito (nascosto nelle parole e nel testo) e pieno (conosciuto solo da Dio), che nel Medioevo si ridussero a quattro: letterale, morale, allegorico e anagogico.
Anche se nella successiva cristianità non mancarono ardenti sostenitori della lettura simbolica come Abelardo, che avvertiva di non arrestarsi alla littera dei testi sacri, ma di ricercarne il senso profondo o sententia, la Chiesa si orientò sempre più in direzione del letteralismo, fondato su un’esegesi storica, stilistica e grammaticale; indirizzo che raggiunse il suo apice nella Controriforma. Ancora in epoca moderna, nel 1943, Pio XII invita nell’enciclica Divino afflante spiritu all’uso delle nuove scienze per determinare il senso letterale dei testi sacri.
Naturalmente ci sono sempre i dissidenti. Un famoso caso riguardò un abate benedettino, Dom Pernety, che in piena Controriforma studiò i geroglifici incisi sulla stele di Luxor, trasferita a Parigi, nel tentativo di leggere non i testi cristiani ma i miti egizi alla luce dell’alchimia.
Nel Medioevo islamico fiorì la corrente dei batiniti, che ammettono nel Corano un
‘senso interno’ (batin) da ricavarsi mediante l’interpretazione allegorica (ta’wil) combinata con accenti neo-platonici. La corrente fu aspramente osteggiata perché contribuì alla nascita di movimenti autonomisti anche politici, tra i quali gli ismailiti. Per l’hinduismo è sufficiente citare la figura di Shankara, che con la sua interpretazione delle Upanishad vediche diede vita alla scuola dell’Advaita Vedanta. Il tantrismo hinduista e buddhista conobbe e utilizzò un linguaggio ‘crepuscolare’ (sandha-bhasa) o ‘intenzionale’ (sankalpya), cioè una forma polisemantica ideata allo scopo di nascondere il senso profondo ai non iniziati e volta all’unificazione (samdhya) dei vari livelli di lettura.
Queste brevi note storiche, solo per ricordare che l’interpretazione simbolica ha da sempre appassionato i lettori dei testi sacri, in una ricerca di senso che il Padre della lingua così descrive nel Convivio: “Le scritture si possono intendere e deonsi esponere per quattro sensi. L’uno si chiama litterale, e questo è quello che non si stende più oltre che la lettera delle parole fittizie... L’altro si chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto ‘l manto di queste favole... Lo terzo senso si chiama morale... Lo quarto senso si chiama anagogico, cioè sovrasenso; e questo è quando spiritualmente si espone una scrittura”. Il senso ‘litterale’ viene prima degli altri, perché costituisce la forma che contiene i significati, ma deve essere sempre “subietto e materia” dei livelli di lettura più elevati. A queste parole possiamo affiancare quelle del Cristo in Matteo 13: “Per questo parlo loro in parabole, perché vedendo non vedono, udendo non odono né comprendono”, con l’ovvio invito, nello stesso passo di Matteo, a cercare nelle parabole il senso nascosto per poter vedere e udire.
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